19090La Spezia – E’ stato l’allenatore di una città prima che di una squadra, di una generazione più che di un gruppo di giocatori. Sergio Carpanesi ha compiuto 80 anni il 21 Marzo (“ma è registrato il 22 perchè spesso chi nasceva in casa risultava dal giorno successivo”, precisa) e a lui vanno gli auguri della città dove è nato anche se da anni ormai abita a Firenze. Quasi scontato esordire chiedendogli un ricordo di quel periodo che ha scritto un pezzo di storia da queste parti, soprattutto per chi quegli anni sportivi e non solo li ha vissuti tutti di un fiato, per chi ‘li ha visti, rialzarsi, cadere, volare’.
“Il fatto importante – sottolinea l’ex tecnico aquilotto a CDS – è stato l’aver creato un grande coinvolgimento di pubblico già dal primo anno, nonostante non ci fossero mezzi economici considerevoli ma anzi fossero molto limitati. Avevo un gruppo di giocatori numericamente ristretto ma estremamente valido, gente matura come i vari Telesio, Ferretti, Brilli, Boggio che sono riusciti sempre a dare il massimo. Credo che la vittoria ottenuta nel campionato 85/86 sia stata determinante per creare una generazione di appassionati negli anni a venire”.
Il suo Spezia è stato e rimane uno dei più amati dalla gente, per certi versi in modo simile a quello di Andrea Mandorlini. Due squadre che restano delle splendide incompiute.
“Vero, entrambe sono arrivate ad un passo dal traguardo senza riuscire a centrarlo per pochissimo. Devo dire che per quanto ci riguarda non ci fu la possibilità, e per certi versi la volontà, di salire e di fare quel passettino in più per avere un ritorno più avanti. Dispiace perchè non si è raggiunto qualcosa che in fin dei conti era alla portata. Però è vero che c’erano pochi soldi e soprattutto non ci fu mai l’appoggio di gente del posto che non aveva certo meno possibilità di chi invece faceva dei sacrifici. E non ci voleva molto visto che stiamo parlando di gente come Rossetto e, anni dopo, Blengino”
Quindi aveva ragione il partito del ‘tanto ne ghe vèno andae’?
“No, quando dico che non c’era la volontà intendo dire che se ti si fa male Telesio e prendi Puzone è ovvio che alla lunga la puoi pagare. Nei momenti decisivi ci siamo trovati con 13-14 giocatori ed era difficile in quelle condizioni pensare di fare miracoli. La squadra è arrivata al dunque, la gara di Lucca, letteralmente spompata ma se si fosse fatto quel passettino che dicevo magari sarebbe finita diversamente. Ora c’è una grande proprietà, con grandi mezzi, con un uomo, Gabriele Volpi, che mi sembra sappia il fatto suo negli affari e che nello sport ha vinto tutto con la Pro Recco prima di appassionarsi al calcio. Con questa proprietà all’epoca avremmo raggiunto grandi traguardi nonostante non ci fossero i Playoff e salire fosse difficile. Questa storia che permette teoricamente a chi arriva ottavo di lottare per la A ha finito per annacquare il campionato”.
Insomma questa formula non le piace.
“Ma non ne faccio un discorso relativo solo alla Serie B ma più generale, a partire dalla Champions che una volta, quando si chiamava Coppa dei Campioni, era riservata a chi vinceva il proprio campionato; o la stessa Coppa Uefa, oggi Europa League, che una volta era riservata alle seconde e terze. C’era più qualità mentre oggi tutto è governato dalle televisioni e dai soldi che vengono distribuiti. Si gioca tanto e girano tanti quattrini ma non è detto che ci sia più spettacolo anche perchè si gioca molto di più e spesso questo finisce per impoverire le gare. Una competizione come l’Europa League, con gare al giovedi, è molto dispendiosa dal punto di vista fisico. Allora tanto vale partire con questo progetto di Superlega con le grandi squadre che si affrontano tra loro e lasciano i campionati di appartenenza che diventerebbero più equilibrati ed avvincenti. Oggi invece in ogni nazione ci sono una o due squadre che vincono a mani basse e non so nemmeno che gusto ci sia. Penso ad un PSG che vince il campionato con 8 o 9 giornate di anticipo. Senza parlare poi della nazionale”.
Parliamone invece…
“A mio parere il livello è molto basso. Se guardiamo le convocazioni azzurre, tolto Buffon e pochi altri, c’è veramente poco. Questo perchè ci sono troppi stranieri, bisognerebbe tornare almeno alla metà più uno di italiani per ridare lustro alla nazionale. Invece siamo costretti a convocare anche giocatori non nati nel nostro paese che comunque fuoriclasse non sono. Chi sta lavorando veramente bene è la Germania perchè hanno impostato un lavoro sui settori giovanili e sulle strutture e i risultati si vedono ma serve tempo e programmazione”.
Da questo punto di vista come giudica l’operato dello Spezia?
“L’ho visto giocare spesso in televisione, sia recentemente che con il vecchio allenatore. Mi piacciono Situm e Chichizola e poi non mi dispiaceva Brezovec per personalità e qualità tecniche. In generale hanno giocatori importanti per la categoria, gli attaccanti sanno fare sempre gol e ne faranno ancora, sono intercambiabili e poi Di Carlo ha portato quella dose di esperienza e compattezza che forse mancava. Ora c’è davvero un’idea di squadra. Tempo fa mi è capitato di essere a Spezia per una ricorrenza e mi hanno fatto visitare il Ferdeghini. Fa impressione pensare a quello che era quando ci allenavamo noi, nella terra polverosa, e vedere cosa è oggi: un gioiello con più campi splendidi, una palestra attrezzata anche per il recupero degli infortunati, roba che non tutte le società di massima serie possono vantare e poi il Picco che dagli anni ’80 è cresciuto e migliorato. Dico che lo Spezia deve andare in A, ma per rimanerci”.
A proposito di Serie A, avrebbe mai pensato che un suo ex calciatore come Spalletti potesse diventare allenatore di livello?
“Devo essere sincero: no. Spalletti non dava assolutamente l’idea di poter diventare un tecnico, e che tecnico. Ha fatto una trafila logica, stando molto attendo alle scelte dopo alcuni esoneri agli inizia della carriera. Fece bene a Udine mentre alla Samp pagò forse il fatto di non essersi ingraziato i senatori dello spogliatoio. A Roma fece molto bene quando ebbe, un po’ per necessità un po’ per scelta, l’intuizione di far giocare Totti come finto centravanti. Nello spazio aperto dal 10 giallorosso si infilava Perrotta mentre a destra e a sinistra c’erano Mancini e Taddei. Fecero vedere un grande calcio. Sono contentissimo per lui, perchè è una bella persona, generosa e di cuore”.
Lei andò via da Spezia giovane per poi tornarci ad allenare. Aveva fin dall’inizio l’idea di fare il calciatore?
“Sinceramente no. Mio padre aveva questa squadra locale, i Carpanesi Boys. Io giocavo coi miei fratelli più grandi di quattro anni ed evidentemente non sfiguravo. Giocando in Prima Divisione, che era la quarta serie dopo la Serie C, ricevetti la chiamata della Fiorentina per una sorta di provino. Decisi di accettare e di mettermi alla prova anche se sinceramente non pensavo di fare il calciatore. A Firenze ci fu questa partita di allenamento: da una parte noi ragazzi scelti per il provino e dall’altra la prima squadra dei viola allenata da Bernardini che mi disse di fare l’ala destra. Feci notare che non avevo mai giocato in quel ruolo ma non mi ascoltò nemmeno. Di fronte avevo Cervato uno che, vi assicuro, non voleva perdere nemmeno a carte, figuriamoci contro una squadra di ragazzi. Ebbene, alla fine della partita nella quale feci 3 gol, Bernardini mi disse ‘lei venga con me in sede che firmiamo il contratto’, e di lì iniziò la mia storia che mi portò a giocare nella Fiorentina del primo scudetto e poi al Palermo, alla Spal e alla Roma”.
Una bella storia, mister.
Auguri.

Fonte “Città Della Spezzia”