18851La Spezia – Bastarono quattro presenze per aprirgli le porte della serie A. Quattro presenze dopo quattro anni nelle giovanili dello Spezia, con Luigi Scarabello pronto a dargli il posto che era di Gregorio Persi detto “Guli”, che come lui veniva dall’entroterra. Guli da Novi Ligure, Ricky da Pontremoli. Quel “Ricky” èEnrico Albertosi, uno dei migliori frutti delle giovanili bianche di sempre, uno dei santi laici del calcio cagliaritano. Il numero uno della squadra dello scudetto con Riva e Scopigno, il campione d’Europa azzurro del 1968.
La sua storia parte dalla Pontremolese, nel cuore della Lunigiana, dove vive e fa il pane ancora la sorella Annita, prima della chiamata dalla città di mare. Quel mare che era un po’ presagio visto che il padre Cecco, che gli trasmise la passoine, giocava contro squadre come l’HMS Cheqwers, formazione sbarcata dall’omonima corazzata inglese ancorata dentro l’arsenale subito dopo la guerra. Tutto poi ebbe iniziò con il titolare Gregoratto chiamato marinaio e quindi obbligato a lasciargli i pali a 15 anni per navigare sullo stesso mare che bagna Cagliari, centinaia di leghe più in là. “Lo Spezia sta giocando bene, il Cagliari è primo in classifica con merito ed è favorito sul terreno di casa. Però per me è una partita apertissima”, dice Albertosi.

Cagliari e Spezia, non due maglie banali per lei. Le segue ancora?
“Certo, le seguo entrambe avendo giocato con tutte e due. Il Cagliari era la favorita per la vittoria finale e sta rispettando le previsioni. Ha avuto un momento di crisi ultimamente soprattutto in casa, ma a Modena si è rifatta negli ultimi cinque minuti del recupero trovando una vittoria importante. Lo Spezia viceversa veniva da una serie molto positiva, contro il Trapani ha invece subito la rimonta, ma sono cose che possono succedere”.

Il Cagliari di Scopigno e uno scudetto che era qualcosa di più di una vittoria della provincia. Tuttora una delle più belle cavalcate che il calcio italiano abbia mai conosciuto.
“Con quello scudetto abbiamo portato la Sardegna in tutto il mondo. Oggi associamo l’isola alla storia, alle spiagge e al divertimento, ma allora era sinonimo soprattutto di banditismo e di rapimenti per chi non la conosceva. Quell’impresa ha avuto un significato al di là dello sport, ha contribuito ad abbattere pregiudizi. Forse non succederà mai più di vincere un campionato in un’isola”.

Cagliari è ancora casa sua?
“A distanza di 45 anni, continuo ad andare a Cagliari almeno ogni due o tre mesi. Ci ritoviamo con i miei ex compagni e devo dire che ci riconoscono dappertutto in strada. Anche chi allora era solo un bambino ti chiede di firmare ancora autografi. Lo scudetto l’ho vinto anche con il Milan, ma se vado a Milano posso stare tranquillo che non me lo chiede nessuno (ride, ndr)”.

La fame di calcio della provincia insomma, dove le imprese sono tali e non “scadono” con il calciomercato successivo.
“Ricordo bene anche il campionato vinto con lo Spezia, che ci permise di tornare in serie C1. La terza serie era composta di tre gironi allora, oltre a noi vinsero anche Mantova al nord e Cosenza al sud. Alla fine un minitorneo per decidere i campioni d’Italia della quarta serie: vincemmo tutte le partite in casa e perdemmo tutte quelle in trasferta. Fu pari e patta. Sì, il Picco anche allora era molto caldo e in campo il pubblico si sentiva molto”.

Lei ha esordito giovanissimo, oggi è più difficile con tutti gli interessi che animano il calcio?
“Non credo sia più difficile. Al Milan ha esordito un 16enne, questo vuol dire che se hai qualità e se trovi un allenatore coraggioso tutto è possibile. Ovviamente un portiere è sotto la lente d’ingrandimento più di un centrocampista o di un difensore. Donnarumma ha dimostrato di avere personalità e carisma, di saper giocare con i piedi, di sapersi far rispettare da compagni più grandei di lui. E poi gli sono stati perdonati degli errori che comunque vanno messi in conto. E alla fine, magari il Milan ha trovato un portiere per i prossimi vent’anni”.

Il fisico lo aiuta. Invece un portiere non altissimo ma molto reattivo come Chichizola?
“Scattante, rapido, forse non alto ma con una buona elevazione. Gli ho visto fare ottime parate, ha dei riflessi importanti. E non fa errori grossolani, mai visto prendere un golbalordo. E’ argentino? Sì ha qualità, mi piace”.

A un campione d’Europa non si può non chiedere: martedì sera si è avuta la dimostrazione di quanto gap c’è tra l’Italia e le nazionali migliori al momento o è solo una serata storta?
“Effettivamente sembravamo uno sparring partner. La Germania ha fatto quello che ha voluto e ha dimostrato di essere nettamente superiore, dobbiamo essere realisti. Se andiamo così all’Europeo avremo poche chance. Però credo che abbiamo buone individaultià, che forse in nazionale non riescono ad esprimersi come sanno. Non è facile quando sai che l’allenatore se ne andrà appena finito il torneo. Guardi, siamo a marzo e la Federazione poteva anche scegliere di sostituirlo subito. Senza cambiare la squadra, cambiare il tecnico e farlo lavorare senza pressioni ma già in ottica futura. Fare un campionato internazionale sarebbe già stata un’esperienza importante da cui incominciare”.

Fonte “Città Della Spezia”